Il canile come sintomo, il CANILE come cura?

Nel 1954 una legge istituisce con il canile un presidio medico sanitario in protezione della comunità dal diffondersi di un pericoloso virus, quello della rabbia (Rabies lyssavirus).

Un virus mortale, sul quale si deve far prevenzione ma non esiste cura, nemmeno oggi. Il cane, purtroppo, può essere un veicolo di diffusione ed essendo così vicino all’uomo, viene visto come una sorta di untore. Ecco che i cani vaganti divengono un problema sanitario e quindi catturati e portati nei canili dove dopo pochi giorni, uccisi mediante eutanasia. Questa situazione dura fino al 1991, milioni di cani moriranno, anche sani se non reclamati dal proprietario. ARRIVA LA LEGGE QUADRO 281/91, E TUTTO CAMBIA. Essendo la rabbia scomparsa dal territorio nazionale già alla fine degli anni ‘70, e aumentando in quegli anni la sensibilità animalista, viene fatta pressione al governo per cambiare le cose. Con questa nuova legge viene abolita l’eutanasia come mezzo di prevenzione, viene imposto un nuovo ordinamento per le strutture che ospiteranno i cani abbandonati, vengono stanziati dei fondi per il mantenimento e incentivata la diffusione di una maggior cultura cinofila per contenere il fenomeno del randagismo divenuto preoccupante. Quindi se in una prima fase il canile viene percepito a livello sociale come un lazzaretto, un luogo dove sono rinchiusi condannati a morte infetti e pericolosi, nella seconda fase, a partire dal 1991, il canile assume più la rappresentazione di “discarica” ossia quel luogo dove mettere i rifiuti, ciò che non si vuole più vedere per strada. Questa legge è stata veramente importante e rivoluzionaria ma al solito,

“Fatta la legge trovato l’inganno”

come recita un vecchio detto popolare. Se un cane randagio il giorno prima del 14 agosto 1991 non valeva un soldo bucato, dal giorno dopo il governo stanziava – giustamente – dei fondi per prendersene cura:

“Basta che non ci stiatra i piedi!” Questo, in breve tempo, trasforma il fenomeno del randagismo in una sorta di business molto fruttuoso per certe persone.

MA IL PUNTO ESSENZIALE SUL QUALE VORREI SOFFERMARMI È QUESTO: tutto questo ha intaccato il fenomeno del randagismo? Beh, la risposta non è semplice, verrebbe da dire: dipende!

CANILE 3.0

Nel 2016 pubblico “CANILE 3.0 Cani, persone e società”, un testo che raccoglie le mie considerazioni in merito al ruolo del canile nel tempo, focalizzando l’attenzione su un aspetto centrale, ossia quello culturale. Il tema è proprio quello, più che chiedersi come togliere i cani dalla strada mi sono posto la questione del PERCHÉ CI SIANO CANI ABBANDONATI E COSA FARE A TAL PROPOSITO. E qui, per deformazione professionale, passione ed esperienza, sono arrivato all’idea che un cambiamento culturale sia necessario e che questo possa avvenire solo, o soprattutto, incaricando il canile di questo fardello. Quindi, la terza fase di sviluppo del canile dovrebbe essere quella che lo trasforma in un luogo dal quale si diffonde cultura cinofila a 360°. Ma per far questo mi sono concentrato soprattutto sull’operatività del canile stesso e sulla sua trasformazione d’immagine, ossia non più un lazzaretto, non più una discarica, ma il luogo dove recarsi per chi desidera condividere la propria vita con un cane. Ma naturalmente, ovvio a dirsi, se da un luogo si vuole che si diffonda qualcosa – cultura nel nostro caso – è necessario che in quel luogo quella cosa vi sia. Da qui sollevo la necessità di rendere le persone operanti in tale struttura esperte in materia, profondi conoscitori della specie della quale si occupano e capaci di trasmettere alla comunità la loro conoscenza in modo da perseguire. TRE PRINCIPALI MANDATI DEL CANILE 3.0: 1. diminuire gli abbandoni; 2. migliorare l’esperienza di vita del cane in struttura; 3. incentivare le adozioni fatte in modo consapevole e informato (in modo non solo che il cane sia percepito come plus valore della società, ma che non rientri in struttura a causa di premesse incompatibili).

IL CANILE AL CENTRO DI UNA RIFLESSIONE SOCIALE:

Se all’occhio inesperto può sembrare che nel nord Italia il randagismo come fenomeno sia stato effettivamente risolto – e qui bisognerebbe dedicare una riflessione su cosa sia effettivamente il randagismo e che valore abbia, ma non lo faremo in questa sede – mentre nel centro e sud Italia la situazione sia ancora ben diversa, dopo trent’anni dalla legge 281/91 di cui sopra, in realtà le cose non stanno proprio così. Infatti, quello che non ha subito flessioni negli anni è il fenomeno dell’abbandono. I canili del nord Italia sono anch’essi pieni di cani, figli della pratica della cessione. È vero che questo può essere inteso come un progresso, ossia: meglio abbandonato in un canile che per la strada ma il problema, visto dal punto di vista del cane, per quanto mi riguarda rimane, ha solo cambiato modalità d’espressione. E qui arriviamo ad un punto, fatte le debite considerazioni, che hanno più a che fare con la società nella quale viviamo, con le sue regole, le sue imposizioni, le sue limitazioni… insomma, per certi versi la sua natura è macchinica più che a misura d’uomo, e ovviamente di cane. Una società dove gli altri animali assumono più una connotazione iconografica, non realistica. Dove l’uomo ha perso la consuetudine di confrontarsi con l’altro da sé e traduce tutto dal suo punto di vista. Viviamo in città fatte a misura delle macchine, che invadono ogni luogo, che definiscono le architetture e sia noi che i nostri compagni a quattro zampe dobbiamo asservirci ad esse. E pare proprio, almeno per quanto ci riguarda, che siamo ben lieti di farlo assecondando le leggi del mercato e dell’industria. Per i cani le cose sono un po’ differenti e le limitazioni che imponiamo di legge a questa specie raggiungono picchi di incompatibilità con essa tali da metter a durissima prova anche i cani dotati della più incredibile resilienza.

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MA ALLORA, QUALE È IL PUNTO?

Il punto è che l’uomo vive da un tempo lunghissimo accompagnandosi al cane, da circa 35.000, 40.000 anni.


Prova una forte attrattiva verso questa specie ed è portato per lo più a volerlo accanto a sé ma poi, come dimostrano i fatti dietro le sbarre dei canili, si scontra con il quotidiano, con le difficoltà della convivenza, con le problematicità che una relazione così profonda e invadente pone davanti agli occhi, tutti gli istanti, e con l‘impegno nell’affrontare tutte le limitazioni imposte che rendono ancor più difficile la vita in comune con il cane. Guinzagli corti, museruole, divieti d’accesso, scarsa conoscenza del cane, improvvisazione, scelte fatte d’impulso guidati dalle mode del momento, sono tra tutti i temi quelli centrali da affrontare, che se uniti alla limitazione degli spazi, al poco tempo al di fuori del contesto lavorativo, a tutti gli impegni economici ai quali dover far fronte portano a comprendere le ragioni delle numerosissime cessioni che riempiono i canili del nord Italia. Forse, riflettere sui bisogni naturali del cane ci potrebbe aiutare a riconsiderare alcuni aspetti della società, in quanto anche noi subiamo gli stessi stress che rende problematica la convivenza con l’altro, anche se fingiamo che non sia così, anche se spesso non ce ne accorgiamo fino a che non scoppia il bubbone spingendoci alla ricerca di un rimedio che possa lenire il disagio psicologico che affligge un po’ tutti quanti. Il canile entra qui in gioco nel fare un grande lavoro di prevenzione, affiancato da una cinofilia che nel prossimo futuro dovrà dedicare più energia a questo tema, ossia non tanto lavorare per porre rimedio ad una situazione già problematica, ma con l’intento dichiarato di non far nascere e incancrenire le situazioni problematiche.

Con questo non si vuol dire che si possa pensare ad una relazione che non generi problematiche, è nella natura stessa delle relazioni, ma che queste non siano più insormontabili e tali da indurre le persone all’abbandono del loro compagno. Il canile quindi non si pone più all’estremità di una catena di eventi che generano l’abbandono, in modo passivo. Entra a piene mani nella comunità al fine di evitare il triste epilogo. In sostanza il canile, come struttura di contenimento dei rifiuti, deve cambiare faccia e diventare luogo di prevenzione. Non più un luogo dal quale star lontani perché infetto e pericoloso, ma un luogo percepito come punto di riferimento per fare delle scelte sensate. Praticamente il canile deve lavorare al fine di divenire una struttura obsoleta, cambiar pelle ed evolvere se vuole il bene del cane e della società.

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